Introduzione
Quando si è giovani e ci si appresta ad affrontare le prime vere esperienze di lavoro strutturate, si trascura troppo spesso l’importanza di studiare e prepararsi anche un modus presentandi sibi, ovvero una tecnica di comportamento per apparire al meglio al datore di lavoro.
Apparire inteso non come mera rappresentazione di un contenitore vuoto; ma, ricordando le parole di Aristotele “la forma rimanda alla sostanza”, come modo di trasmettere al meglio le nostre capacità, i nostri valori e le nostre skills.
Se si pensa che, già alla fine degli Anni ’90 si iniziava a percepire e strutturare scientificamente la materia del “marketing di se stessi” come crescente necessità per comunicare il nostro valore, oggi più che mai se ne avverte l’esigenza, per diversificarsi il più possibile da competitors agguerriti e per tornare, finalmente, a quelle buone maniere che, anche in azienda, hanno da sempre costituito un valore aggiunto alle già comprovate competenze tecniche.
Ascolto , attenzione e osservazione
Per iniziare, poniamo una riflessione su quello che, in ambito lavorativo, può costituire la base per una buona educazione. Il principio cardine è l’ascolto. Ascolto il capo che mi parla (anche se sovente lo fa per rimproverarmi!); ascolto il collega che mi parla di lavoro e delle scadenze da seguire. E se il collega è più anziano di me o arrivato da prima nel mio ufficio, non ho la pretesa di saperne più di lui o di mortificare le sue iniziative o indicazioni. Ascolto, soprattutto, il mio cliente, con cui instauro così una relazione di fiducia che potrà essere proficua per entrambi. Perché proprio l’ascolto diventa l’asso nella manica per buone relazioni di affari? Perché rimuove ogni ostacolo nella comunicazione. E anche perché ci fa apparire per come dovremmo essere davvero: umili e desiderosi di imparare, non saccenti principianti del mondo del lavoro.
Si dovrebbe poi cercare sempre di ascoltare con attenzione le idee altrui anche se diverse dalle nostre: solo da questo confronto possono nascere nuove idee e nuove opinioni. Ed è un segno gradito e tangibile di ascolto annuire con continuità e, se in una riunione o davanti ad una questione importante, prendere appunti. Molte persone hanno purtroppo la cattiva abitudine di non lasciar terminare l’interlocutore tirando le conclusioni di quanto stava dicendo.
Ci sono poi quei comportamenti che spesso, anche senza rendersene conto, molte persone mettono in atto e che distraggono l’interlocutore: per esempio, guardare spesso il cellulare; picchiettare con le dita sul tavolo; volgere spesso lo sguardo altrove (ricordiamoci che il contatto visivo è un segno tangibile di un buon ascolto e dell’interesse che mostriamo verso colui che ci parla); dare segnali di nervosismo cambiando spesso posizione e postura, o, peggio, sbuffando o chiudendo continuamente la penna a scatto. Provate a pensare a quelle volte in cui, magari durante un colloquio, il vostro interlocutore ha iniziato a fare una delle cose appena elencate: non vi siete forse sentiti sminuiti in ciò che stavate dicendo? Non siete stati assaliti dall’ansia di terminare il vostro discorso, come se quello che stavate dicendo avesse perso valore anche per voi stessi? Ebbene, pensateci prima di rifarlo a vostra volta appena arrivati nell’azienda che vi ha appena accolti.
Ecco quindi una specie di piccolo decalogo su quali comportamenti porre in essere per favorire una comunicazione professionalmente trasparente e diretta:
Presentare noi stessi
Ma come dobbiamo comportarci ad un primo colloquio per un ruolo che vorremmo?
Se, come diceva Oscar Wilde, “Non c’è mai una seconda occasione per fare una prima buona impressione”, le presentazioni sono un momento fondamentale della buona comunicazione in ambito professionale. Nelle presentazioni due estranei entrano per la prima volta in conoscenza tramite una stretta di mano ed un contatto visivo.
La prima presentazione è quindi un momento particolarmente formale e delicato, in quanto ognuno dei due si formerà un’opinione sull’altro. Studi abbastanza recenti sostengono che, a livello inconscio, l’idea che ci si fa dell’altro si formi nei primi cinque-dieci secondi di presentazione. Specialmente entrando in una stanza dove sosterremo un colloquio per un posto che ci piace, è d’obbligo il “Permesso?” appena si entra e un saluto diretto e cordiale al nostro recruiter. Ci si presenta dicendo “Buongiorno/Buonasera!”, non “Piacere!”: lasciamo che siano gli eventi a stabilire se quell’incontro porterà piacere o dolore. C’è forse anche una forma scaramantica in tutto ciò; resta il fatto che “Piacere!” sa di lusinga non richiesta.
Una buona presentazione è quindi decisiva, soprattutto in ambito business, per esprimere la propria personalità e promuovere al meglio se stessi restando a proprio agio, senza essere troppo ossequiosi o troppo distaccati.
Nel momento delle presentazioni, sarà quindi opportuno seguire alcune regole fondamentali per far sì che resti di noi una buona impressione, su cui potremo basare contatti e rapporti futuri.
L’abito fa il monaco?
Ma il saper trasmettere ciò che siamo e che sappiamo fare, si sa ( e, se non lo si è appreso e metabolizzato finora, costringiamoci a riflettere su questo punto), passa anche da come ci vestiamo e presentiamo. Nel mondo del lavoro, infatti, l’abito fa il monaco, e sono pochissime le eccezioni (per lo più in ambienti anglosassoni) dove il valore professionale di una persona trionfa sul look personale. Leggendo il bel libro di Sibilla della Gherardesca “Non si dice piacere”, mi colpì molto il caso di una ragazza con un curriculum ferratissimo che si presentò per il ruolo di coordinatrice di Pitti Immagine. Ebbene, come citato dalla stessa Autrice, la ragazza fece il suo ingresso davanti alla commissione di recruiter con una minigonna vertiginosa in vernice, giubbino rosso e una folta capigliatura da rockstar degli Anni ’70. Sicuramente originale ma…siamo sicuri che un abbigliamento del genere possa andar bene in un colloquio di lavoro?
L’abito è la prima cosa che si nota in un professionista.
Pertanto dovremmo riflettere su quale sia il nostro stile ed acquisirne uno che ci possa rappresentare nel migliore dei modi, senza, possibilmente, stravaganze o eccessiva originalità, a meno che non si lavori nel campo della moda o delle professioni creative. In un primo contatto di lavoro, lo stile sobrio comunica solo cose positive: efficienza, chiarezza di idee, affidabilità. Il messaggio subliminale che passa, nell’interlocutore (sia esso potenziale datore di lavoro, collega o cliente), è questo: se si prende così bene cura di se stesso/a, saprà farlo anche con i miei affari.
Ecco, quindi, alcune linee guida per Ragazze e Ragazzi per fronteggiare al meglio un primo contatto di lavoro.
Le regole della buona educazione in ambito business prevedono, in linea generale, che la donna, al lavoro, debba evitare il più possibile abiti stravaganti, o troppo succinti, o che mettano troppo in risalto alcuni aspetti della femminilità, con il rischio di distogliere l’attenzione dal ruolo e dalle capacità professionali.
Certamente la cura della propria femminilità è importante anche sul lavoro, ma il guardaroba di una business woman dovrebbe virare al classico e non all’eccentricità, poiché l’apparenza non dovrebbe mai prendere il sopravvento sull’oggetto della trattativa e sui delicati rapporti d’affari.
Ecco una serie di consigli pratici per quanto concerne l’aspetto del look personale:
Quindi, sarà buona scelta quella di indossare un abito di tipo convenzionale. Non troppo elegante, non troppo casual, che non concentri su di sé l’attenzione né per dettagli né per porzioni di nudità, lasciando percepire la professionista e non il suo look. Spesso, infatti – specialmente in un primo colloquio o nei primi tempi di un nuovo lavoro – apparire troppo influenzate dalla moda può farci percepire come relativamente vacue e superficiali, facendo passare in secondo piano le nostre qualità umane e, soprattutto, le nostre competenze professionali.
Tutti quei dettagli di seguito elencati sono invece importanti per far percepire di noi l’immagine di una persona curata.
Ed ecco invece il Bon Ton dello stile business per i Ragazzi.
L’uomo veste classico, sempre che non lavori nell’ambito della moda o nella pubblicità o nella finanza, dove aderirà, per forza maggiore, al look aziendale. L’abito classico, quindi, sarà caratterizzato da colori che andranno dalle tonalità del blu a quelle del grigio, fino alla scelta oggi consentita del colore marrone (è curioso sapere che gli Inglesi non hanno molto simpatico il colore marrone per gli abiti business, riservando questo colore alla vita di campagna; per questo motivo hanno coniato il detto “No brown in town”, niente marrone in città).
I tipi di texture per l’abito sono:
– il Principe di Galles
– la tinta unita
– i quadri
– il gessato sempre, però, a righe strette. Le righe larghe, nell’immaginario collettivo, richiamano le figure dei gangster…
Nel dettaglio:
Qualora indossassimo un taglio lungo, è opportuno, per il Bon Ton, raggrupparli in un codino dalle dimensioni ridotte e non fluenti, a coda di cavallo.
Conclusioni
Essere educati è sicuramente un’arte. Un’arte che si esprime attraverso validi strumenti di attenzione al prossimo, di buoni comportamenti, di gentilezza e stile. La vita sociale è composta da un intreccio sottile e in continuo movimento di riti, saluti, ringraziamenti, domande e risposte. Ecco che l’uso che si fa (meglio se fin da bambini) delle magiche parole come “Grazie!”, “Scusi!”, “Permesso?”, possono davvero diventare, in certi contesti, delle semplici regole salvavita che ci pongono in migliore relazione con gli altri e, quindi, meritevoli di ascolto e interesse.
Ricordo ancora come, da ragazza, per la nonna di una mia compagna di scuola fossi la preferita tra tutte le amiche. Il motivo fu presto detto: un giorno, la nonna della mia compagna le disse: “Tra tutte le ragazze che frequenti, lei è l’unica che viene a salutarmi quando arriva e quando se ne va”. Per una persona anziana, abituata ad essere messa in secondo piano, o relegata in una stanza per “non dare fastidio”, la mia attenzione alla sua persona era molto più che gradita: la faceva sentire ancora importante.
Non si riflette infatti mai abbastanza su come i comportamenti maleducati portino a inasprire i rapporti personali e inasprire ed impoverire la nostra stessa vita. La conoscenza delle regole della buona educazione aiuta ad acquisire competenza sociale, a rafforzare il nostro successo personale e migliorare la qualità dei nostri rapporti, sia in ambito privato che nel mondo del lavoro. Inoltre, aumenta la nostra autostima poiché ci rende più sicuri socialmente.
Ricordando sempre che il vero “Bon Ton” non deve essere inteso come uno stile di facciata bensì strumento di espressione di una vera sostanza, di un’eleganza che nasce dal sentirsi bene con se stessi e con gli altri, attenti a ciò che ci circonda ma anche sufficientemente umili da voler continuare ad imparare.
E questo atteggiamento curioso e gentile non può passare inosservato nel mondo del lavoro.
Un esercizio
La prova che vi invito a fare richiede un po’ di impegno ma porta sicuramente a dei risultati e a riflessioni conseguenti. Ci si veste in modo appropriato, in abiti scelti secondo le indicazioni suggerite per il colloquio di lavoro. Tutto deve essere come se stessimo veramente andando all’appuntamento col recruiter. Proviamo poi a guardarci allo specchio e analizzare che cosa funziona e che cosa no, quali accostamenti sono riusciti e quali da migliorare. A questo punto, proviamo a ripetere, all’ immaginario head hunter, quello che sappiamo fare e quello che vorremmo fare, le nostre esperienze lavorative, le nostre abilità. Ascoltiamoci mentre parliamo, concediamo pause all’immaginaria voce del nostro interlocutore per ascoltarlo. Salutiamo entrando e uscendo, sorridendo e porgendo la mano.
BIBLIOGRAFIA
Studi classici ed una Laurea in Scienze Politiche all’Università di Pisa, un Master in Comunicazione e Gestione dell’Impresa Bancaria e Assicurativa ed uno in Marketing Digitale e Social Media. E’ Formatrice e Consulente nel campo delle HR e dell’orientamento a neo-laureati in tema di Business Etiquette, Colloquio di Lavoro e Comportamento nei contesti lavorativi. Ha all’attivo numerose esperienze aziendali e professionali nel coordinamento di gruppi e nei rapporti con imprese private ed enti pubblici. Attualmente è Responsabile dei Rapporti con le Aziende per l’Associazione Eraclito2000 di Pisa, Docente di Personal Branding per Cesop Communication, membro del Consiglio Direttivo per l’Imprenditoria femminile di Confesercenti Livorno. E’ Socio Fondatore del Club Rotary Due Mondi, Distretto 2090. Ha pubblicato per Franco Angeli “Genere e Formazione. Proposte per lo sviluppo del potenziale femminile” nel 2016 assieme ad altre professioniste e studiose. Nel tempo libero si dedica ai suoi affetti, al servizio verso i più svantaggiati, alle passeggiate nella natura e all’approfondimento di temi riguardanti le questioni di genere e di psicologia delle organizzazioni.
Eraclito 2000 sviluppa da trenta anni attività formative rivolte ai giovani che si affacciano al mondo del lavoro con l’idea centrale di creare una interrelazione diretta tra l’associazione e il tessuto socio-economico regionale e nazionale.
“L’esperienza è stata Innovativa, totalizzante, evolutiva e… a rilascio prolungato. La consapevolezza di ciò che ho appreso è stata per alcuni aspetti immediata mentre, per altri, mi me ne sono resa conto nei mesi successivi alla conclusione dell’esperienza CIBA, e sono convinta che tanto ancora beneficerò degli insegnamenti ricevuti”
– Letizia Marcacci
“Il CIBA è una bellissima esperienza personale e formativa che porterò certamente dentro di me per tutto il resto della vita. Mi piace dire che il Master Intensivo in CIBA è un master che non va raccontato, ma va vissuto in prima persona.”
– Luca Baldoni
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